• Dal settimanale Riviera Oggi numero 824 del 25 maggio 2010

SAN BENEDETTO DEL TRONTO Quattro anni fa Giovanni Gaspari diventava sindaco di San Benedetto. Ora si appresta al suo ultimo anno di mandato. In questa intervista parliamo del suo bilancio, della sua ricandidatura e dei paletti che egli stesso pone, dell’economia cittadina. Insomma, un dialogo a tutto campo con il Gaspari pensiero, non necessariamente legata all’attualità quotidiana stringente ma, speriamo, illuminante per capire un uomo e un politico.
L’anticipazione: «Senza primarie non mi ricandido». Ma non c’è solo questo. Leggetela.

Sindaco, iniziamo da una domanda che può sembrare banale eppure aspira a non esserlo. Come va?
«Beh la domanda calza eccome. Fuori dal trasporto dei vari momenti, con gli occhi distaccati, dico che va bene, la città è dinamica e vivace, difficile e stimolante da governare. Difficile perché deve offrire servizi ad una popolazione ben più ampia dei suoi 50mila cittadini. Pensiamo solo al depuratore idrico, funzionale per 180mila abitanti. Stimolante, perché ogni Comune è l’interlocutore diretto del cittadino. Pensiamo alla riforma Gelmini. Due plessi come Santa Lucia e via Damiano Chiesa rischiano di chiudere, la decisione viene da Roma ma la gente protesta con noi».

Quattro anni da sindaco l’hanno stancata?
«E’ entusiasmante fare il sindaco, la politica è sempre stata la mia passione, ci ho messo più energia di quanta ne abbia investito nella mia professionalità extra politica. Non sono stanco, una passione non ti stanca».

Cosa manca a San Benedetto? Perché c’è qualcosa che manca, viste le potenzialità ben più grandi dei risultati.
«La coesione sociale ed economica, siamo una città composta da realtà troppo individualiste, manca la capacità di lavorare in team».

Qui possiamo vedere un link con l’intervento, o il mancato intervento, dell’economia cittadina nel sostenere il turismo, gli eventi estivi…
«Dobbiamo essere onesti, mi piacerebbe far conoscere ancora meglio quanti eventi e spettacoli abbiamo fatto senza spendere un euro, grazie alle sponsorizzazioni. Penso alle feste per la Bandiera Blu, alla Festa del Patrono a cui abbiamo ridato la centralità che merita, agli eventi musicali al PalaSport».

Un segnale di vivacità dell’economia cittadina, parrebbe essere. Ma come giudica il momento economico del sistema San Benedetto?
«Non è di facile lettura. I settori “classici” come le industrie di trasformazione e i magazzini ortofrutticoli hanno vissuto una crisi epocale, però il settore del commercio e il turismo continuano a dare soddisfazioni. Andiamo orgogliosi di aver invertito una tendenza, oggi non si convertono più gli hotel in appartamenti, accade il contrario. Perché abbiamo introdotto delle regole, come la variante all’articolo 29 delle norme del Prg. E le regole sono importanti, senza regole ci sono solo i favori e i piaceri, gli amici e i nemici».

Avete puntato molto su regole, regolamenti, Piani settoriali che riguardano alcuni gruppi di portatori di interesse, meno su obiettivi concreti, visibili immediatamente e da tutti. E’ un rischio, lo avete calcolato?
«Sì, le regole sono meno visibili, ma interessano tutti. Il Piano Spiaggia non interessa solo i cento e più concessionari balneari, ma la gente che lavora negli chalet. Le regole sono la cornice del vivere civile, siamo fieri del regolamento per l’occupazione del suolo pubblico, per il Piano Antenne, per il Piano delle Aree verdi, per il Piano degli Hotel che approveremo a brevissimo. Il Piano Regolatore Generale? Lo faremo (di più non dice, ndr). E sulle opere concrete, beh, ora vedrete lo sprint finale che deriva dal tanto lavoro di questi anni. L’Albula, il sottopasso di via Pasubio, le opere anti allagamenti in piazza San Giovanni Battista. I tempi delle opere pubbliche sono lunghissimi, ma arriveremo».

Nel settore della nautica, su cui avete speso grandi parole, ancora non si vede nulla. Eppure i cantieri sostengono di aver presentato i progetti di ampliamento.
«Fino a ieri non si poteva far nulla, era tutto fermo al Piano regolatore del porto del 1968. Ora è stato fatto un adeguamento funzionale che permette ai cantieri navali, un’economia potentissima e con grandi potenzialità, di crescere, ampliando le strutture. Siamo in attesa del definitivo semaforo verde del Genio Civile Opere Marittime, poi saranno rilasciate le autorizzazioni. E a breve sarà ampliato lo scalo di alaggio, che permette il varo di imbarcazioni da diporto più grandi. Un finanziamento giunto grazie ai fondi europei, che ci hanno fruttato in totale cinque milioni in quattro anni. E pensare che chi ci ha preceduto aveva soppresso l’ufficio comunale per le Politiche comunitarie».

Il consigliere comunale Mario Narcisi non ha usato parole dolci nei suoi confronti, è lite aperta. Come risponde?
«Ad essere caustici, direi che è facile parlare a nome del popolo senza averne il sostegno, Narcisi è in consiglio comunale per essere subentrato ai due eletti del suo partito poi passati in giunta. San Benedetto ha bisogno di persone che sono in grado di costruire, il suo atteggiamento, come quello di altri consiglieri (il riferimento è al comunista Daniele Primavera, ndr) è volto invece a distruggere. Una “guerra santa”, un sostenere “o si fa così o voto contro”, atteggiamenti politicamente immaturi di chi vuole solo affermare il proprio io, ma quando si amministra bisogna pensare al “noi”. Nessuno di noi individualmente è depositario del bene comune, collettivamente possiamo esserlo, ma ci vuole il saper lavorare in squadra. Dei solisti non abbiamo bisogno».

Sono i solisti, come li chiama lei, ad averla portata a dire “grazie ma altri cinque anni così no”?
«Questi quattro anni sono stati meravigliosi, ma mi hanno consumato internamente ed esternamente. Dò l’anima, sto in ufficio dalle nove alle 20 e 30, poi la sera ci sono le riunioni. Sono tanti anni che bazzico la vita politica cittadina, forse pure troppi».

Vuole mollare la presa? Non ci crediamo…
«Vorrei traghettare una nuova classe dirigente, di giovani, perché il rinnovamento non deve essere solo una vuota enunciazione».

E nel 2011? Vuole lasciare ad altri?
«Io sono pronto a lasciare il passo, ho la fortuna di avere un lavoro oltre alla politica, ho sempre lavorato fin da quando studiavo. Mi ha fatto piacere la posizione presa dalla base del Pd, che si è espressa per la mia ricandidatura. Certo è che non si può predicare e non praticare».
Cioè?
«Ho sempre predicato la necessità di primarie di coalizione, alle ultime provinciali ad esempio. Quindi la mia eventuale ricandidatura deve necessariamente passare dalle primarie di coalizione».

Già, ma quale coalizione?
«Sono orgoglioso della compagine con cui sono partito, nonostante la “vivacità” di qualcuno. Con una parte minoritaria ma importante della sinistra radicale c’è un dialogo, la permanenza di Settimio Capriotti in giunta ne è testimonianza».

Poi c’è l’Udc. Che dal 23 dicembre è ufficialmente un vostro alleato, visto che ha votato favorevole al bilancio di previsione. Ma la vicenda non è passata inosservata, si è parlato di “stampelle politiche”, di tradimento degli elettori perché Edio Costantini nel 2006 si candidò sindaco contro di lei.
«Chi ha tradito chi? Chi ha votato il bilancio oppure chi si è presentato alle elezioni sostenendomi e poi mi ha votato contro? Perché nessuno critica chi esce da una maggioranza, e si critica solo chi vi entra? (il riferimento è ai tanti fuoriusciti, ancora Primavera, ma al sindaco forse fa più male l’atteggiamento dei due Pd Libero Cipolloni e Nazzareno Menzietti, ndr). Se qualche consigliere ha avuto il diritto di prendere le distanze dagli impegni che ha preso con l’elettorato, per ragioni nobili o meno nobili, perché io avrei torto ad aver capito le dinamiche della politica nazionale e regionale?».
Che intende? E soprattutto, nel 2006 si attendeva di essere “salvato” da quel Costantini che la sfidava?
«Se non mi fossi atteso l’avvicinamento dell’Udc, non avrei confrontato Salvatore Nico alla guida della Multiservizi, nel 2007. Sapevo bene che una coalizione multiforme alla lunga può vivere incomprensioni e screzi. Con la nomina di Nico aprii di fatto l’avvicinamento all’Udc».
Ottima strategia dal suo punto di vista, certo il risultato di quel 23 dicembre la premiò, altrimenti non saremmo qui a parlare di Gaspari sindaco. Ma l’atteggiamento di Donati, quello pure lo aveva previsto?
«No, non l’avevo preventivato, anche se lo conosco bene. Quel 23 dicembre, comunque, e le settimane precedenti, sono state uno spartiacque. Ma devo dire che mi sono difeso bene».
Ce l’ha con il consigliere Pd Urbinati, vicino alle posizioni “donatiane” che in quel caldo dicembre volevano farle la festa?
«Urbinati è un bravo consigliere comunale, uno dei giovani politici su cui la città deve puntare. Ripeto, a me non fanno paura i distinguo, la vivacità intellettuale. Mi fa paura l’ottusità, invece, la furbizia che mai va d’accordo con l’intelligenza. Mi è dispiaciuto che alcuni consiglieri comunali, non Urbinati, siano carichi di odio, di sensi di rivalsa, pronti allo sgambetto per obiettivi che non esito a definire meschini».

Ci avviamo alla conclusione. La domanda è d’obbligo, anche se non mi attendo affermazioni epocali o novità di rilievo. Il tema è la Grande Opera della Fondazione Carisap e la collegata variante urbanistica che servirebbe a reperire l’area di zona Brancadoro.

Sindaco, a che punto siamo?
«Stiamo lavorando, la Fondazione ha posto il limite del 31 dicembre, speriamo che la classe politica sia compatta».

Sul federalismo fiscale, e sul primo decreto attuativo riguardo al Demanio, quali possibilità abbiamo?
«Rimane fuori il Demanio marittimo, la spiaggia ma anche l’ex galoppatoio. Ma fanno parte del provvedimento le aree del centro dove sorgono gli impianti sportivi. Oggi paghiamo i canoni demaniali, con il federalismo potremmo riscuoterli. Non è poco, ma aspettiamo ancora, non vorrei che la montagna partorisca il topolino».

Concludiamo con i dipendenti comunali. Pare che lei sia un Brunetta in salsa sambenedettese…
«Ma no… gli impiegati pubblici devono uscire dalla cornice della inamovibilità, se un funzionario è valido deve sperimentarsi in più contesti, accettare sfide nuove. Io non ragiono in termini di consenso elettorale, o perlomeno non è la mia stella polare. Preferisco scegliere, anche scontentando qualcuno, piuttosto che non scegliere».
Anche se scegliere vuol dire retrocedere un funzionario dal grado di dirigente a quello inferiore di direttore?
«Ci sono troppi generali in questo Comune, e pochi soldati semplici. Io ho scelto, ho scelto di rimettere ossigeno in circolazione. Anche a costo di cambiare, o di retrocedere qualcuno».