GROTTAMMARE – Il sindaco di Grottammare Luigi Merli risponde in merito al posizionamento dell’amministrazione comunale nella rubrica settimanale “Purgatorio”,  pubblicata su Riviera Oggi numero 814 di questa settimana, in merito all’Istituzione Povera Costante Maria.

Nel breve pezzo sul nostro giornale si faceva notare come nessuno dell’amministrazione avesse ancora espresso la sua opinione, né in un senso, né nell’altro, sui diversi argomenti che ruotano attorno al Testamento Ottaviani, come gli espropri, il cambiamento di statuto, o semplicemente sulle indagini della procura. Ora il sindaco risponde e pubblichiamo integralmente.

Commentando il nostro posizionamento in Purgatorio rispetto alla questione all’Istituzione Povera Costante Maria, intanto una precisazione è d’obbligo: checché ne dicano storici o consulenti vari, la modifica dello statuto dell’Istituzione è avvenuta con decreto del presidente della Regione Marche – giustamente citato da Lillo Olivieri – cioè il numero 63 del 17-5-99. Bontà sua l’allora presidente della Regione era il magistrato Vito D’Ambrosio.

Il Comune di Grottammare ha semplicemente espresso un parere positivo al cambiamento di statuto in un atto di consiglio comunale, sempre nel 1999. La legge che regolamenta la procedura è la legge regionale 43/88 che all’articolo 10, punto 2/a stabilisce che spetta alla Regione curare l’adempimento delle funzioni amministrative relative (tra l’altro) alle modifiche istituzionali e statutarie delle Ipab che operano nell’ambito regionale.

Che poi la Istituzione Povera Costante Maria non potesse essere regolamentata dalla legge Crispi, come a più riprese qualcuno sostiene, su questo, se se ne avesse voglia, basterebbe leggere le prime due righe della Legge Crispi che chiariscono quali sono le situazioni da essa regolamentate da quel momento in avanti, annullando tutte le leggi precedenti (dato che le leggi dell’800 erano molto ben scritte) e comunque, non compete certo a me disquisire su un atto quale è un decreto del presidente della Regione Marche.

Per entrare poi nel merito dei beni dell’ente “espropriati”, qui si sfiora il paradosso.

Un bene espropriato per pubblica utilità è soggetto a normative dettagliate e rigorose, con precisi passaggi che, per fortuna, consentono all’ente pubblico di prevalere sulla proprietà privata quando sussistono giustificati e motivati obiettivi di interesse pubblico.

Un esproprio non è null’altro che l’acquisizione da parte dell’ente pubblico di un bene privato attraverso la corresponsione coatta del giusto compenso, che viene stabilito con regole precise in base alle norme vigenti. Un esproprio non può essere certo in nessun modo motivo di negazione delle volontà testamentarie, in quanto nessuno può con testamento impedire un successivo esproprio della pubblica amministrazione. Penso che questo sia facilmente comprensibile da chiunque.

Spiego per l’ennesima volta che l’ente, dal 1999, è gestito da un consiglio di amministrazione il cui presidente e la cui maggioranza sono nominati direttamente dal vescovo, proprio nel rispetto delle volontà testamentarie originarie.

Il consiglio comunale di Grottammare nomina due membri del consiglio di amministrazione, che sono in assoluta minoranza.

Faccio notare, infine, che i soldi che l’ente aveva diligentemente accumulato e mantenuto sono stati utilizzati per un magnifico recupero della sede storica dell’ente, nei pressi del castello di Grottammare, e che oggi all’interno di questo edificio trova sede “Casa Lella”, una casa famiglia che si occupa di minori in difficoltà. Ovviamente una onlus, volontariato puro.

Penso di aver chiarito la totale mancanza di implicazioni dirette del comune di Grottammare.