SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Difficile scrivere qualcosa di originale. Ancor più difficile non scrivere nulla. Jerome David Salinger è morto, a 91 anni, e la sua morte ha posto fine ad una sua ultradecennale solitudine dopo i clamorosi successi delle sue poche opere, tra cui la più conosciuta è sicuramente Il giovane Holden (il prototipo dell’adolescente borghese inquieto e ribelle del dopoguerra, ma che a più di 50 anni di distanza, per dirla con le parole di Alberto Arbasino appena domenica scorsa, si sarebbe chiesto: «Alternativo sì, ma a cosa? Vattelappesca»), ma che forse ha dato, stilisticamente, il meglio nello struggente Franny e Zooey, in alcuni dei Nove Racconti, senza dimenticare quelle perle soltanto accennate di Seymour, introduzione e Alzate l’architrave, carpentieri.
Difficile – dovuto questo breve preambolo – aggiungere qualcosa al già scritto in tutto il mondo. Ho saputo della sua morte in maniera strana, dopo una giornata di lavoro trascorsa senza informarmi nulla di quel che era accaduto nel mondo. A cena, mentre appena tornato mangiavo una pizza veloce in cucina e mia moglie lasciava il televisore acceso sulla Bbc – almeno serve per non perdere l’abitudine ad ascoltare l’inglese… – avevo captato (è il verbo giusto) la parola Salinger, pronunciata velocemente e distrattamente ascoltata. Salinger? Sarà morto, ho pensato e detto, anche se non ero neppure sicuro che quel nome fosse stato pronunciato, né, se veramente lo fosse stato, se avesse attinenza con la sua morte o con altri argomenti che riguardassero l’autore di Una giornata speciale per i pescibanana. Quando, più tardi, mi hanno detto che Salinger era davvero morto, ho riflettuto su quel passaggio in Bbc, sullo strano e solo accennato modo in cui ero venuto a sapere della morte di uno degli scrittori che più avevo amato negli anni giovani ma che ancora oggi rileggo con stupefatto piacere.
Se fossi stato Salinger, ne avrei scritto uno dei suoi racconti.