SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non sono sabbie inquinate. Ma sono scure. E probabilmente tali resteranno perché risalenti ad un periodo compreso tra i 16 e i 18 mila anni fa: si sono formate nel corso dell’era glaciale e sono andate sommerse in seguito allo scioglimento dei ghiacciai. Sono sabbie dragate da un deposito che si trova a 30 miglia al largo di Civitanova Marche, ad una profondità tra gli 85 e i 90 metri, con una potenzialità estrattiva complessiva stimata superiore a 100 milioni di metri cubi.
Tutto questo lo sappiamo grazie ad Arenaria Srl, l’azienda che ha ricevuto l’incarico dalla Regione Marche di effettuare, per la prima volta in Italia, un ripascimento dei litorali estraendo sabbie sottomarine. Questo è avvenuto nel 2007 a Marina Palmense, lembo settentrionale di Fermo a ridosso di Porto San Giorgio, dove effettivamente le sabbie dragate da Arenaria Srl hanno permesso, almeno nell’estate 2007, di avere una spiaggia dove, poco prima, mancava. Lo stesso si può dire per altre zone, come quella del Tesino sud.
Ma se il problema riguardasse soltanto la spiaggetta di Marina Palmense, allora non ci sarebbero grossi approfondimenti da fare. Il punto è che cento milioni di metri cubi di sabbia che giacciono sul fondo dell’Adriatico e che possono essere spalmati in tutti gli arenili delle Marche meridionali rappresentano un vero caveau dove la sabbia millenaria diventa letteralmente simile all’oro. Se costasse 1 euro al metro cubo, avremmo 100 milioni di euro in fondo al mare; se 10 (forse più realistico) un miliardo; se 20, due miliardi.
E inoltre, come hanno scritto i ricercatori dell’Università di Camerino e ripete Legambiente, il loro colore e la granulometria non sembrerebbero identiche a quelle originarie nelle spiagge marchigiane e sopratutto con quelle rinomate e dorate della Riviera delle Palme. Nel sito di Arenaria Srl ad ogni modo si legge: «Dalla caratterizzazzione del materiale effettuata dall’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale per le Ricerche di Bologna (Ismar-Cnr) è risultata essere una sabbia silicea fine/medio-fine, pulita e omogenea, molto simile a quella che attualmente si trova sui litorali delle regioni adriatiche. Le analisi dell’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (Icram), facente capo al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, la certificano dunque come sabbia sottomarina che rientra nei parametri relativi ai materiali da usare per ripascimento costiero».
Tra il bianco e il nero (è il caso di dirlo parlando di queste sabbie) vi sono infinite tonalità di grigi, così tra l’incompatibilità sostenuta dai ricercatori di Camerino e il molto simile descritto da Arenaria Srl le interpretazioni potranno essere molteplici. Certamente se si guarda con attenzione la fotografia che pubblichiamo relativa al litorale di Marina Palmense, presa da Google Earth, ovvero dal satellite, si possono ottenere interessanti informazioni: come è ben visibile, la sabbia è dorata e chiara a nord, mentre è scura a sud. E questo a due anni di distanza dalle operazioni del 2007.
Ora circa un milione di metri cubi di sabbia sono ancora stoccati a Marina Palmense (il volume complessivo è sicuramente diminuito sia a causa degli interventi di ripascimento già effettuati a Cupra, Grottammare, Marina Palmense e forse altri lidi, sia a causa della naturale erosione), e, nelle intenzioni della Regione, dovrebbero essere spalmati tra Grottammare e Civitanova Marche (chissà che poi non riguardi altre città, ndr). Ma al centro dell’Adriatico restano in attesa 100 milioni di metri cubi di sabbia: un affare grandissimo.
Sta alle comunità locali decidere se in futuro (anche prossimo come si sta vedendo) si preferiranno delle spiagge grandi ma scure, o se invece non si preferisca restare con spiagge più piccole ma dorate. Regione Marche in primis.