SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Chiediamo la convocazione del consiglio comunale al fine di mettere in discussione e deliberare la presente mozione di sfiducia». E’ la burocratica conclusione del documento che circola da inizio settimana fra i consiglieri di minoranza.

«Il sindaco con la sua azione amministrativa improntata al “cesarismo” e caratterizzata da una dialettica politica aspra ha comportato una costante mancanza di interlocuzione con la minoranza consiliare in merito ai temi di grande interesse per la città», è l’incipit della mozione.
Primi firmatari del documento i consiglieri Pasqualino Piunti, Bruno Gabrielli, Andrea Assenti, Luca Vignoli, Giovanni Poli, Pierluigi Tassotti, Paolo Forlì. In calce al documento appaiono i loro nomi. Quella in nostro possesso è una copia “vergine”, senza firme scritte ma con i nomi sopra esposti battuti al computer.

Ora bisognerà vedere chi la firmerà davvero, se si raggiungeranno le dodici firme per chiedere la convocazione del consiglio comunale. Se poi in consiglio comunale ci sarà la maggioranza assoluta di sedici consiglieri che si assumeranno l’onere di chiedere al sindaco di andare a casa. Altri punti forti della mozione di sfiducia: lo stallo del Piano Regolatore, i «proclami puntualmente disattesi come Ballarin, Albula, lungomare nord, bretella collinare, piazza in via Montebello», la riorganizzazione del personale del Comune «che è stata causa di una paralisi tecnico amministrativa sfociata nell’aumento di incarichi e consulenze esterne».
Circolerebbe anche il testo di una mozione di sfiducia partorita in seno alla maggioranza, fra quele burrascose correnti che si snodano fra i dissidenti “donatiani” del Partito Democratico, Libero Cipolloni e Nazzareno Menzietti, e il socialista che politicamente vede Gaspari come il fumo negli occhi, cioè il primario dell’ospedale Mario Narcisi.

La presidente del consiglio comunale Giulietta Capriotti, ex “donatiana” di stretta osservanza fino al tumultuoso post voto di giugno e anche oltre, è arrivata a chiedere all’assessore regionale di “fermarsi” per il bene della città e del Pd. Accusandolo di stare spaccando tutto, partito e amministrazione comunale, e paventandogli una perdita di consenso elettorale in città.

Sui giornali è un rincorrersi di ipotesi, riunioni, congiure di palazzo. Certo è che la caduta di Gaspari non sarebbe indolore per nessuno, neanche per i suoi artefici. Il centrosinistra rischia la spaccatura, il centrodestra non sembra avere al momento un candidato pronto. Se Gaspari cadesse il 21 dicembre, nella seduta in cui il Consiglio è chiamato ad approvare il bilancio di previsione, si voterebbe per il suo successore a marzo, nel turno elettorale delle regionali. Se Gaspari cadesse più in là, il Comune verrebbe gestito da un commissario prefettizio fino al 2011. Uno stallo che porterebbe la città alla mancanza di progettualità politica, piombandola in un governo “tecnico” di ordinaria amministrazione.
Intanto Daniele Primavera, dalla sua posizione di rifondarolo oppositore a Gaspari, precisa: «Tengo a smentire nel modo più assoluto di aver mai partecipato a una riunione “carbonara” insieme agli esponenti della destra, come del resto non potranno che confermare i diretti interessati. Smentisco, inoltre, di aver firmato alcunché, dal momento che non mi è stata consegnata alcuna mozione, e dal momento che, comunque, Rifondazione Comunista non si è espressa ufficialmente su tale possibilità».

Poi precisa la sua posizione politica, che certamente non è comunque “gaspariana”: «Rifondazione manterrà salda la propria linea politica di opposizione a questa giunta senza piegarsi al gioco delle correnti del Pd, che tanto danno hanno fatto a questa amministrazione e che hanno influito pesantemente anche nella nostra uscita dalla maggioranza consiliare. Qualora l’amministrazione cadesse la responsabilità politica sarà esclusivamente del Pd, diviso tra la contestazione strumentale e una difesa d’ufficio altrettanto strumentale, acriticamente ottusa e senza futuro».