dal settimanale Riviera Oggi numero 762
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Terminato il liceo a San Benedetto, l’attore teatrale Cristian Giammarini nel 1990 si è trasferito a Roma, dove ha seguito il corso di laurea in Discipline dello spettacolo. Forgiato dalla prima ed intensissima scuola di teatro di Luca Ronconi, dal 1991 al 1993, al Teatro Stabile di Torino, ora lavora da più di dieci anni con il teatro dell’Elfo a Milano.
Da quando è partito per trovare la sua strada, è tornato a San Benedetto del Tronto nel 1998, con “Sogno di una notte di mezza estate”. Ora, dopo dodici anni, è tornato sul palcoscenico della sua terra d’origine con “Maratona di New York”, che lo ha visto per la prima volta anche in veste di regista insieme a Giorgio Lupano.

Cristian, quali sono stati gli spettacoli che hanno segnato la tua carriera?
«Per il diploma alla scuola di teatro di Ronconi, nel 1993, siamo andati in scena con “Pilade” di Pier Paolo Pasolini, nella stagione teatrale del Teatro Stabile di Torino. Interpretavo Pilade ed è stato molto impegnativo. La prima esibizione terminata la scuola fu invece nel 1994 con “La professione della Signora Warren” di George Bernard Shaw. Un’altra grande occasione fu poi nel 1995 a Milano, al Piccolo Teatro, con “Splendid’s” di Jenet, per la regia di Gruber, uno dei massimi registi europei».

Hai lavorato anche con il regista lituano Eimuntas Nekrosios.
«Sì, ho fatto parte del cast che ha portato in scena “Il Gabbiano” di Čechov nel 2001, in tutta Italia e anche al festival di Pietroburgo. In quell’occasione è stato pubblicato un libro, ricavato dagli appunti che prendevo durante la preparazione dello spettacolo. Era una sorta di diario di viaggio, ed è stato chiamato “Il gabbiano secondo Nekrosius”, pubblicato nel 2002».

Cosa ti ha colpito di questa esperienza?
«Nekrosius mi ha fatto capire che nella vita bisogna sempre fare sogni grandiosi. Mi spiego. Lui una volta ci chiese “A che altezza sta il vostro cielo? Sta all’altezza del soffitto o sta oltre le nuvole?”. Questo per dirci che bisogna puntare in alto, così se non raggiungiamo il cielo, almeno avremo raggiunto un’altezza comunque discreta. Questo vale in tutti i campi. È giusto avere sogni ambiziosi, anche se non riusciamo a realizzarli, perchè l’uomo senza sogni non ha stimoli».

Tra i personaggi che hai interpretato, a quale ti senti più legato?
«Probabilmente Pilade e Trofimov ne “Il giardino dei ciliegi”. C’è comunque un legame con tutti i personaggi che interpreti, perchè ogni volta lo fai tuo, gli dai qualcosa di te, lo fai vivere attraverso di te: è uno scambio reale tra il personaggio e l’attore. Ad esempio, ho, interpretato Mercuzio in Romeo e Giulietta con la regia di Stefano Mercelli, e a Mercuzio sono molto legato perchè è un personaggio molto passionale, con una vena di follia».

Cosa si prova ad essere ogni volta qualcun altro?
«Innanzitutto è confrontarsi con tanti punti di vista, prendere la parte migliore di ogni personaggio e portarselo dentro per tutta la vita, anche se è molto diverso da te.
L’attore inoltre difende a spada tratta il personaggio che sta facendo, non lo deve giudicare ma deve renderlo così come deve essere».

Come sei cambiato nel corso degli anni?
«Un attore più recita e più si arricchisce, perchè fai l’esperienza di metterti nei panni degli altri ed interpretare qualcun altro. Si matura e si completa la propria personalità. Interpretando diversi ruoli, il tuo carattere diventa più “spesso” perchè queste esperienze lasciano il segno».

Quanto c’è di te in “Maratona di New York”, dato che i due personaggi si raccontano?
«Tanto. Abbiamo scelto questo spettacolo anche per questo motivo. In “Maratona di New York” due amici si incontrano e si confrontano. Io e Giorgio Lupano abbiamo interpretato i personaggi che più ci somigliano, smascherando le nostre personalità».

Un tuo giudizio sulla situazione del teatro in Italia.
«A livello artistico è molto buona, ci sono validi attori, registi ed autori. È scoraggiante a livello di produzioni. Oggi sembra che facciano del tutto per farci capire che l’arte ed il teatro non servano, e quindi sono i primi settori in cui vengono effettuati i tagli. Falciano le sovvenzioni falciando questo naturale bisogno dell’uomo di esprimersi e rappresentarsi. Sono convinto però che il teatro rinascerà e sarà più verde di prima».

I giovani sono più spettatori o più attori?
«Vedo più giovani fare teatro piuttosto che guardarlo. Ho paura che siano attirati da falsi ideali che certi programmi televisivi trasmettono ai ragazzi. Fanno credere loro che il diventare attori sia passare in televisione, e che la visibilità serva per affermare la propria personalità, la propria identità. Niente di più sbagliato. L’artista deve avere una personalità propria che si confronta con le storie e con i personaggi che incontra, indipendentemente dalla visibilità».

Dai un consiglio a chi voglia intraprendere la tua strada.
«Se hai tantissima passione e tantissima voglia di combattere e di faticare fallo, altrimenti no. È dura: era già un settore in crisi nel 1992 quando ho iniziato io, figuriamoci adesso. Oggi ci sono poche opportunità per affermarsi quindi bisogna essere estremamente convinti di voler fare l’artista. Il problema è che in questi tempi si pensa di più a fare showbusiness, e il teatro patisce il confronto con il commercio: non c’è più la fiducia che l’evento teatrale sia un evento culturale».

Quali sono i tuoi progetti?
«In primavera porteremo in scena la prima parte di “Angels in America”, e in autunno la seconda parte di questo spettacolo. Lo abbiamo portato in scena per la prima volta nel 2007, e vinse il premio come miglior spettacolo dell’anno e miglior regia dell’anno. I registi erano Elio De Capitani e Fernando Bruni».