dal settimanale Riviera Oggi numero 759
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Giorgio De Vecchis, oggi, è un politico sui generis. Lui stesso si definisce “un politico nell’antipolitica”, dove per antipolitica intende la realtà “non democratica” dei partiti attuali. Che sia di spirito libero e indipendente, non vi è dubbio.
Quarantacinque anni, eletto per la prima volta in Consiglio comunale con Alleanza Nazionale nel 1997, rieletto poi nel 2001 e nel 2006, oggi possiamo dire che fa opposizione in Consiglio comunale in maniera indipendente da un organismo partitico. Già, anche perché all’interno del centrodestra a livello locale ci sono ancora molte cose da definire. L’entità nata a fine 2007 su iniziativa di Berlusconi, il Popolo della Libertà, non ha ancora ufficializzato circoli, segretari, tesseramenti. Da questo partiamo nella nostra conversazione.


Chi è Giorgio De Vecchis oggi, politicamente parlando? Un consigliere comunale del Pdl?

«Non so se aderirò al Pdl. Finora non ho aderito a un’entità che, tra l’altro, non esiste ancora. Anche nel centrodestra gli elettori sono disorientati. La famosa “base”? Credo che all’interno dei partiti politici attuali non vigono le regole del confronto democratico, non c’è confronto, non c’è partecipazione».
Cosa significa per lei fare il politico di opposizione in un Consiglio comunale?
«Dipende dal concetto di politica. Per me il politico deve rappresentare i propri elettori. Il problema oggi è che la politica non rappresenta i cittadini. Stare in Consiglio comunale come opposizione vuol dire avere una funzione di controllo. A livello comunale le decisioni non sono politiche, ma amministrative in senso preponderante. Il governo della città ce l’hanno il sindaco e la burocrazia comunale, in secondo luogo la giunta. Il problema, purtroppo, è che molti consiglieri comunali non hanno la necessaria competenza e capacità di analisi. Può dipendere dalla personale inesperienza, in certi casi. Lì dovrebbe entrare in gioco l’attività di partito per comprendere e valutare le delibere, ma così non è».
Il sindaco Gaspari la accusa di stare con il fiato sul collo dei dipendenti comunali. Come risponde?
«Gaspari non risponde nel merito alle questioni che sollevo e allora cerca di farmi passare per pazzo, tenta di delegittimarmi. Se io minacciassi i dipendenti comunali credo che mi denuncerebbero, no? Quello che faccio è procurarmi atti e documentazioni per analizzarli, altrimenti a cosa servirebbe un consigliere comunale? Non pecco di immodestia nel dire che così facendo ho fatto risparmiare qualche decina di migliaia di euro al Comune».
Lei ripete spesso che il modo migliore di gestire un Comune è quello di ragionare da “buon padre di famiglia”? Ritiene che ciò non avvenga?
«Mi pare sotto gli occhi di tutti che la capacità di questo Consiglio comunale di agire in maniera democratica e legittima lasci a desiderare. Guardate questioni come il Ballarin, il nuovo parcheggio inutilizzato del Paese Alto, la vendita dell’immobile Picenambiente. La politica di Gaspari è quella di aumentare le spese e aumentare le tasse. Il fiorire di consulenze esterne fa forse gli interessi dei cittadini? Guardate la qualità degli atti prodotti dal consiglio comunale negli ultimi due anni. Credo che Gaspari sia in difficoltà, anche e soprattutto con la sua maggioranza. Per continuare a governare e non fare figuracce non porta le decisioni importanti al voto del Consiglio. Questo è governare? Il Piano regolatore è un altro esempio. Tutti francobolli, niente di unitario all’orizzonte».
Piacerebbero a tutti dei consigli comunali più frequentati, ma invece la gente è sempre più lontana dalla politica…
«L’Italia soffre di un male antico, ci si interessa della cosa pubblica solo se toccati nei propri interessi personali. Io ho deciso di impegnarmi in prima persona perché era l’unico modo per dare senso alla mia protesta verso una certa politica. Oggi il Consiglio comunale ha perso di importanza, pochi conoscono bene ciò che votano. Gli organi di governo, sindaco per primo, non hanno interessi a far capire. Il caso Ballarin è emblematico. Coinvolgendo di più i consiglieri si sarebbero evitati strafalcioni e Gaspari sarebbe comunque stato ricordato come il sindaco di una grande opera architettonica. Per coinvolgimento intendo anche discussione sulla scelta dell’area. La Fondazione non ha chiesto il Ballarin, è stato il Comune a indirizzare il suo finanziamento proprio lì e non altrove, senza sentire ragioni».
Per lei questa maggioranza soffre di un male nascosto bene?
«Anche Martinelli aveva gli stessi problemi, ma in quella maggioranza i dubbi però uscivano fuori. Oggi qualcuno nel Pd comincia a chiedere di capire le decisioni prese dentro il Comune. Ripeto: posso comprendere l’inesperienza del consigliere al suo primo mandato. Ma in questo barcamenarsi è funzionale anche il sistema dirigenziale del Comune, che risponde solo a chi lo posiziona e a chi lo premia, cioè il sindaco».
Quindi crede che Gaspari non farà la fine di Martinelli?
«Non c’è un Benito Rossi nel Pd. E poi Martinelli era nuovo della politica, aveva questa giustificante. Gaspari no. Lui è stato vicesindaco con Perazzoli, non ha scuse. Dico che Gaspari, se avesse avuto in maggioranza gli stessi consiglieri comunali che aveva Martinelli, sarebbe già andato a casa».
Che differenza c’è fra il Gaspari che stava all’opposizione e il De Vecchis attuale?
«Io sono sempre stato coerente, lui no. Lui sta razzolando al contrario di quanto predicava da consigliere di opposizione. Certo, io non ho mai fatto il sindaco, ma da presidente del Consiglio comunale rivestivo un ruolo per certi versi più importante, perché è un ruolo di garanzia, con il compito di informare come si deve i consiglieri comunali su quello che andranno a votare. La qualità del governo cittadino non si vede dal numero di delibere, ma dalla qualità di quello che realizzi. E credo che questo i cittadini lo percepiscano bene».
Come vede in un futuro una lista civica a governo della città?
«Ci vorrebbe un sindaco con dei grandi attributi. Attento alle “infiltrazioni” di gente che ha un concetto sbagliato del fare politica. Io in prima linea? Non lo so. Dico solo che le ideologie sono fatte per dividere i buoni, i cattivi sono tutti d’accordo».
A quasi un lustro di distanza, ora ce lo può dire. Cos’aveva Martinelli che lei proprio non digeriva?
«In buona fede, è stato forse vittima di meccanismi più grandi di lui e di professionisti della poltrona, tanto da ricandidarsi nel 2006 pensando di vincere».
De Vecchis, lei come sogna la San Benedetto del futuro? Ce la faremo a ritrovare la nostra strada?
«Io vorrei una città democratica, partecipativa, trasparente. L’amministrazione comunale sarebbe poi lo specchio di una città così».