VAL VIBRATA – Nel periodo nazi-fascista, su 50 località italiane in cui erano stati allestiti dei campi di concentramento, ben 14 erano collocate in Abruzzo. E ogni paese erano presenti uno o più istituti di detenzione. Come mai una così alta concentrazione di campi di prigionia nel suolo abruzzese?
Italia Iacoponi, nel suo libro “Il fascismo, la resistenza, i campi di concentramento in provincia di Teramo” adduce come spiegazione il fatto soprattutto che le località in provincia di Teramo erano scelte dalle gerarchie fasciste perché ritenute militarmente meno importanti e quindi meno interessate da eventi bellici. Su queste scelte notevole influenza ebbe anche l’impervità dei luoghi (soprattutto le località dell’entroterra, come Civitella, Teramo, Isola del Gran Sasso, Tossicia), e la scarsa politicizzazione della popolazione, che quindi non costituiva una minaccia per la gestione degli istituti come invece sarebbe avvenuto nelle vicinanze delle grandi aree urbane o in zone con una più sviluppata coscienza politica.

Nel volume vengono riportate anche numerose testimonianze dell’epoca, raccolte dall’autrice attraverso memoriali di ex detenuti sopravvissuti. «Voglio esprimere la mia gratitudine – racconta Kalisiak, polacco prigioniero nel campo di concentramento istituito nel palazzo Bacologico di Nereto – per la titolare di un negozio di alimentari che spesso, di notte, faceva entrare nel campo patate, verdure, pane, con grande rischio per lei e per noi prigionieri».

Kalisiak racconta anche come, essendo medico, nel periodo di prigionia si ritrovò anche estrarre dei denti d’oro ad altri prigionieri che poi li vendevano in cambio di un pezzo di pane o beni di prima necessità.

Le condizioni di vita nei vari campi della Val Vibrata (a Corropoli, Tortoreto, Nereto, Alba Adriatica e Civitella) erano incentrate su un attento controllo dei detenuti – ebrei, polacchi e prigionieri politici – che tuttavia vivevano condizioni di prigionia più dignitose rispetto a quelle dei grandi lager europei, anche se tali istituti abruzzesi erano solo un punto di passaggio e di “appoggio momentaneo” prima del trasporto dei reclusi nei campi di concentramento in Austria, Germania o Polonia. Solo pochi fortunati riuscirono a scappare a questo triste destino e a vedere la liberazione nel 1944 nei campi di detenzione abruzzesi.