SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Giuseppe Romani è un medico di famiglia, che ha dedicato il tempo dei suoi ultimi cinque anni di vita a un progetto ambizioso, ostico, lodevole. Un romanzo, intitolato “Benedetto”, in uscita in questi giorni per le edizioni “Affinità elettive”, sul santo patrono della città delle palme.
San Benedetto Martire, nella tradizione del suo culto, era un soldato dell’esercito romano durante l’impero di Diocleziano. Il 13 ottobre del 304 dopo Cristo viene decapitato sul ponte del fiume Menocchia (Cupra Marittima) come punizione per la sua conversione al cristianesimo. La testa e il corpo vengono gettati in mare separatamente, per evitare che qualcuno li ritrovi e renda le spoglie un luogo di venerazione.
Ma un corteo di delfini trasporta i poveri resti del soldato cristiano sulla spiaggia alle pendici del colle dove sorgerà poi la Torre dei Gualtieri. Dove c’è l’odierna statale Adriatica, per intenderci.
I coloni tumulano il corpo, vi edificano sopra la chiesa di San Benedetto Martire e inizia il culto del patrono cittadino. Un culto basato su una tradizione orale, non su documenti scritti; un culto i cui reperti sono una lapide e le spoglie conservate nella chiesa, che una recente radio-datazione ha datato proprio fra il 250 e il 350 dopo Cristo.
Un Santo che per questi motivi è stato muto, silenzioso, ignoto ai discorsi della storia ufficiale; persino misconosciuto dalle gerarchie cattoliche, non essendo presente nel martirologio romano. Un Santo di serie B, amato però dalla gente e dalla gente difeso quando fra il 17° e il 18° secolo Roma ordinò di abolirne il culto perchè ritenuto “posticcio”, non autentico.
I sambenedettesi, racconta Giuseppe Romani, resisterono per 102 anni, fino al 1707, quando il vescovo di Ripatransone Giosafat Battistelli abolì il culto per sette anni, scatenando le ire del popolo e dei notabili locali. Il processo alla storia di Benedetto che si tenne in quegli anni vide nei panni del pubblico ministero un cardinale chiamato Prospero Lambertini: quel porporato salirà al soglio pontificio e si chiamerà Benedetto XIV, ironia (?) della storia.
Il processo infatti si chiuse con la formula “nihil esse innovandum”, ovvero occorre lasciare tutto com’è. Il culto di San Benedetto Martire tornava ad avere diritto di esistenza.
Il romanzo di Romani si annuncia ponderoso, colto, denso di serietà storiografica e filosofica, perchè frutto di un lavoro di studio lungo e documentato. Benedetto è immaginato come un soldato di alto lignaggio, e questo è il pretesto per raccontare la sua vita vicino a un potere che segnerà la storia di Roma e dell’Oriente, come quello di Diocleziano.
Se ne parlerà in un convegno all’auditorium comunale il prossimo 20 dicembre alle 18. I relatori saranno il vescovo Gestori, la docente di Letteratura Cristiana Antica Maria Grazia Bianco, il sociologo Renato Novelli e lo storico sambenedettese Ugo Marinangeli.
«La città ha bisogno di darsi un’identità storica, di avere indagini sulle sue figure simboliche, sui risvolti sociologici ed economici della sua vita nel corso dei secoli. Pensiamo di dare all’esposizione di questa ricerca una sede fissa in un convegno annuale, da svolgersi in questo periodo natalizio in Comune», è l’introduzione dell’assessore alle Politiche Culturali Margherita Sorge.